Fuga dalla guerra

Qualche giorno fa sono giunti nella nostra città una famiglia di profughi ucraini.

Sono stati accolti a casa di Zina Ida e di Vito sposatisi poco tempo fa in seconde nozze (già soci dell’Enoclub prima della pandemia). Lei è di origini ucraine ed abitava in una cittadina sulla sponda del fiume Dnepr, ad un centinaio di chilometri da Kherson dove questa estate la coppia ha trascorso felicemente un paio di mesi di vacanza e dove vive ancora una sua figlia e diversi parenti fra i quali, proprio un paio di giorni fa, un suo cugino di 42 anni è stato gravemente ferito e la moglie uccisa dallo scoppio di una bomba. Con il singhiozzo in gola Zina mi racconta che la sua città è stata bombardata e quasi completamente rasa al suolo; mi riferisce che alcuni suoi ex allievi (lei è una ex insegnante) hanno assistito e qualcuno anche partecipato a cruenti combattimenti fra l’esercito ucraino e russo con tanti, tanti morti da ambo le parti; giovanissimi soldati russi e civili locali piangere assieme per tante atrocità che non avrebbero mai voluto. Una interminabile fila di profughi si rifugia nella campagna e verso l’occidente del Paese con mezzi di fortuna, lasciando alle spalle desolazione e morte.

Gina e Vito hanno un cuore d’oro ed hanno spalancato le porte di casa per ospitare una famiglia di fuggiaschi da Kiev con i quali sono affettivamente legati. Una coppia con due figli che con una vecchia auto di marca russa sistemata alla buona, sono riusciti ad arrivare in Italia dopo una peripezia di ben sei giorni, bloccati prima alla frontiera per tre giorni e poi a Cracovia in Polonia ed infine un lungo viaggio senza soste fino Portogruaro, soffrendo freddo e fame, con i soli loro vestiti addosso. Gina e Vito li hanno accolti a notte inoltrata, rifocillati e sistemati in una camera da letto riscaldata dove finalmente si sono rilassati e riposati.
Hanno chiesto aiuto ad amici per aiutarli, in quanto non avevano nulla da cambiarsi con vestiti puliti e quindi anch’io mi sono immediatamente dato da fare trovando una disponibilità ed umanità immediata da parte delle associazioni di volontariato ed alcuni amici che si sono prestati per procurar loro un po’ di vestiario; un aiuto particolare è arrivato da parte dell’ “Intreccio” gruppo di solidarietà sociale, e poi dalla Caritas e Croce Rossa che fornirà loro generi alimentari.

Ho avuto modo di incontrare questa famigliola e mi è rimasto impresso nella mente lo sguardo triste, impotente, quasi inconscio del papà, un omone alto che è riuscito a scappare oltre il confine a causa di una invalidità. La moglie stringeva a sé a mo’ di protezione i suoi due bambini, una di sedici anni, senza parole, non un sorriso, con gli occhi che proiettavano paura ed emozione. La bambina di sei anni, ben protetta dai famigliari, al contrario immagina di vivere l’avventura di un viaggio vacanza. Anche loro, come altre migliaia di Ucraini, hanno perso tutto: casa, lavoro, amici, parenti, patria. Lui Ivan ha un fisico smilzo ed alto circa mt. 1,90, è diplomato fisioterapista con una specializzazione in agoterapia appresa in Giappone e lavorava per conto di strutture sanitarie. La moglie Tatiana era impiegata presso il Ministero di Giustizia come “correttrice”; le loro due bambine, Valmara e la piccola Elizabeth seguivano il corso di studi. Una famiglia felice che lavorando insieme si erano comperati un appartamentino, ben arredato, ed anche una auto Dacia di seconda mano. Come tanti esempi di casa nostra!

Improvvisamente cade su di loro il buio! perdono tutto! anche amici, parenti, conoscenti, molti sono morti o scomparsi sotto le macerie; momenti di terrore con le loro bambine sconvolte dalla paura; non rimane altro che scappare da quell’inferno e proteggere le loro bambine e così fanno tantissimi altri che cercano un mezzo di trasporto per fuggire dalla città. Ivan vorrebbe rimanere per combattere come molti altri suoi concittadini, ma ha un problema di salute e questo gli consente di poter attraversare i confini con la sua famiglia. Non senza difficoltà perché viene fermato spesso nei posti di blocco e poi rimane ancora bloccato ai confini con la Polonia per ben tre giorni, chiuso in auto, al freddo e fame, e finalmente al quarto giorno riesce a raggiungere Cracovia dove vengono rifocillati e dopo un riposo ristoratore, ripartono con la loro vetusta auto verso l’Italia giungendo a Portogruaro dopo oltre quindici ore di viaggio. Complessivamente un viaggio di sei giorni verso la libertà.

Loro sono di religione cattolica e oggi, domenica, sono andati a messa per ringraziare il Signore per averli salvati, sperando che le loro preghiere servano anche a ritrovare la loro quotidianità nella loro patria libera.

Leandro Costa